lunedì 25 maggio 2009

Caterina Serra "La solitudine"

Mi capita spesso, in queste giornate di sbocciata primavera, di passeggiare per le strade di Firenze e di imbattermi in un gruppo, più o meno ampio, di non più giovani uomini che chiacchierano allegramente e appassionatamente degli argomenti più disparati: calcio, politica, tempo o semplicemente dell'ultima moda indossata dai ragazzi delle nuove generazioni.
Mi capita di vederli ridere stringendo in mano una birra davanti al circolo del loro quartiere o sedere pacati sulla panchina di qualche piazza.Mi capita di sorridere, nel vederli, e di pensare con una certa rassicurazione che l'età non ostacola la socialità, quella pienezza emotiva che solo l'altro può dare.
Ma poi penso con più attenzione.. Io sono una donna, e nelle mie passeggiate per il centro non mi è mai capitato di vedere, su quelle panchine o davanti a quei circoli, nemmeno una donna.Le donne che esprimono se stesse in gruppi di donne non fanno parte nemmeno dell'immaginario collettivo, ora che ci penso!
Storicamente, le donne non sono ammesse in politica e anche oggi, per quanto cambiato sia il modo di “fare politica”, per quanto diversi i diritti delle donne, occupare un posto sociale è, per noi, ancora un obiettivo difficile da realizzare. In questo secolo molti sono gli eventi che hanno portato importanti cambiamenti socio - politici e culturali, specie per le donne italiane, che hanno conquistato diritti e cittadinanza attiva e ottenuto leggi che le tutelano nel lavoro e nella vita, ma molto rimane da fare.
Leggo su un blog: ”Sono una donna divorziata e autonoma di 44 anni con un figlio. La mia paura è la solitudine. Come fare per vincerne la paura?”Paradossalmente, la signora in questione non cerca soluzioni alla solitudine, vuole solo accettarla, trovare il modo di non temerla. Questo accade perchè l'attuale società non prevede, né ha mai previsto, dei piani di intervento mirati alla risoluzione del problema alla base.La solitudine non risparmia nemmeno chi, pur inserito in nuclei familiari, sperimenta l'isolamento affettivo quando la convivenza con i congiunti crea problemi e frustrazioni reciproche.
Nell'individuo, donna o uomo che sia, c'è, infatti, un bisogno continuo e pressante di affetto ed una costante esigenza di comunicazione e condivisione.Appare dunque indispensabile e urgente un vasto piano politico che si proponga di educare la società in generale, oltre che l'individuo e la famiglia, allo scopo di favorire la caduta di tutti quei pregiudizi che hanno relegato la donna nel limbo dell'incomprensione e della solitudine.
A questo punto, forse, sarebbe opportuno dare una dimensione alla gravità del fenomeno cercando di stabilire, con sufficiente approssimazione, il numero di donne che vivono in solitudine, specie nell'età più alta che è anche la più ricca di bisogni. Non è facile, però, disporre di dati statistici attendibili circa la consistenza numerica di tale evenienza e tanto meno è agevole raccogliere informazioni sulle condizioni di vita nella fascia di donne che vivono sole.
Solitudine vuol dire sentirsi soli e questo accade a chi vive isolato e appartato, non per scelta propria, ma per condizione imposta dagli organismi sociali, economici, culturali del proprio complesso antropologico.Ciò avviene sopratutto nelle grandi città, in cui predominano la mancanza di spazi verdi, i ritmi di vita accelerati, il traffico, l'inquinamento e, sopratutto, l'inconsistenza dei rapporti umani che fanno sentire la donna più sola e isolata, per assurdo, proprio quando fa parte di quei grandi formicai che sono le città.
Creare spazi appositi di condivisione per far ritrovare se stesse alle donne smarrite nella solitudine dovrebbe, dunque, essere un obiettivo su cui concentrarsi con più attenzione e sul quale intervenire al più presto con piani che prevedano la marginazione del fenomeno, piuttosto che i lavori estenuanti e spesso infruttuosi di psicoterapie e cure mediche volte a far tollerare la solitudine.
La solitudine non deve essere tollerata, ma combattuta.

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