lunedì 25 maggio 2009

Malvisi Massimo Luca Fit Cisl Toscana

Spunti di riflessione per una occupazione migliore.


La fotografia del cosiddetto mercato del lavoro in Italia riassume i molteplici contrasti che convivono nella nostra società. Mali endemici e forse inguaribili, ma che meritano senz’altro il massimo dell’attenzione e dell’impegno per essere curati.
Impegno ed attenzione da parte della politica, delle parti sociali e dalle istituzioni nazionali e regionali.
Va da se che ogni Regione possiede caratteristiche diverse, ma sostanzialmente le leggi che governano il mercato del lavoro sono di stampo nazionale.
Vediamo di riepilogare brevemente l’attuale situazione che è frutto anche di molteplici interventi legislativi, spesso rimasti incompiuti, che non hanno realizzato una vera e propria riforma, quanto mai necessaria per aggredire radicalmente le storture che tante donne ed uomini vivono sulla loro pelle.
In Italia esiste un cosiddetto nocciolo duro di lavoratrici/lavoratori, operanti con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, figlio del boom degli anni ’60, inteso come struttura portante, in pratica ed in buona parte dei casi, l’assunzione ed il pensionamento avvenivano cambiando pochissime volte posto di lavoro.
Questo sistema permetteva di anche di fare programmi per il futuro, con risvolti sociali notevoli, basti pensare alla percentuale altissima di proprietari di abitazioni.
Il sistema si è deteriorato frutto delle prime crisi economiche, dei prepensionamenti di massa, della situazione politica che non permise di porre rimedio.
Sono del 1996 (legge Treu) le prime riforme nei rapporti di lavoro, che introducono il lavoro interinale nel nostro ordinamento, disciplinandolo.
Ma è con l’adozione della legge Biagi, che avviene l’avvio della prima riforma del mercato del lavoro, che tuttora non vede la completa attuazione. Il legislatore si è limitato a recepire una molteplicità di rapporti di lavoro, cercando di regolamentare la quasi totalità di occasioni di lavoro, prendendo atto della richiesta di una maggiore flessibilità nelle prestazioni lavorative, da parte del tessuto produttivo.
Da segnalare che l’alternativa non poteva non essere che lavori svolti al di fuori di ogni regola, male endemico che affligge pesantemente il nostro Paese.
Quindi si è passati da un modello garantista ad una spesso generalizzata precarietà, che vede i più esposti i giovani e le donne, ipotecando il loro futuro.
La prolungata fase di recessione economica, di respiro mondiale, ha messo ferocemente ancora più in risalto le carenze e le storture che convivono in Italia.
L’Europa ci ricorda continuamente il basso tasso di occupazione, delle donne, e delle persone over 50, il basso tasso di natalità, l’insostenibilità del nostro sistema pensionistico. Caratteristiche che sono diretta conseguenza di un sistema che è sordo, complice anche l’inerzia dei meccanismi, alle richieste della società.
Partendo dall’assunto di avere un tessuto produttivo molto frammentato, la grande industria manufatturiera è residuale rispetto alla miriade di piccole e micro aziende; inoltre l’occupazione si è spostata massiciamente verso il terziario determinando così un forte cambiamento sociale. Si assiste ad una spiccata mobilità tra un lavoro e l’altro, con una permanenza breve; è cambiata la scolarità, anche se il collegamento scuola/lavoro, salvo rare eccezioni, non funziona; vi è molta difficoltà a progettare il futuro vista anche l’impossibilità di ottenere un mutuo dalle banche per l’acquisto dell’abitazione; i servizi di sostegno sono quasi inesistenti; la formazione professionale quando presente è di pessima qualità non permettendo una crescita e/o riqualificazione spesso necessarie; la tutela pensionistica è un’altra nota dolente come pure la coniugazione dei tempi di vita e di lavoro. Se poi vi aggiungiamo la questione dei servizi di assistenza alla persona ed una spiccata riottosità, all’offrire pari opportunità di inserimento/crescite delle donne in certi ruoli del tessuto produttivo, abbiamo un quadro disarmante della questione.
Come giudicare altrimenti i vergognosi licenziamenti a seguito di una maternità; la richiesta di un test di gravidanza prima di una assunzione, oppure il perpetuarsi di certi luoghi comuni inerenti l’aspetto fisico e relazionale, per non parlare delle molestie (v. anche stalking).
Ma le difficoltà vi sono anche per i sempre più lavoratori ultraquarantenni che hanno la necessità di reinserirsi nell’ambito lavorativo, considerati vecchi e non rispondenti alle esigenze produttive attuali, ma dico io non aiutati certi da una legislazione di sostegno, infatti la maggiore convenienza economica per un datore di lavoro si concentra nel contratto di apprendistato che è utilizzabile fino a 29 anni (in Toscana).
Qui vi insiste anche una cultura con molti pregiudizi in quanto non si ritiene in grado tali persone in grado di riprofessionalizzarsi, spesso l’esperienza non ha il giusto valore.
Sfiorando certi aspetti che riguardano l’illegalità, si preferisce assumere giovani immigrati, anche perchè più facili da espellere in caso di cali di attività.
Risulta evidente che se il nostro sistema previdenziale è destinatario di rivisitazioni, lo è anche per il fatto che sta facendo pernio sui contributi di lavoratori giovani, con rapporti di lavoro discontinui, con basso tasso di occupazione di donne e ultraquarantenni.
Su tutto questo dobbiamo riflettere e operare delle scelte, graduali ma radicali che permettano quanto prima di correggere certe evidenze, pena il barbaro impoverimento di ampie fasce di popolazione con forti pericoli anche di disordine sociale; l’Italia si sta sempre più staccando da un modello di welfare europeo per abbracciare sistemi anglosassoni, come quello statunitense, con pochissime tutele per i lavoratori.
Nel mondo è in atto una riconsiderazione sulla questione, in cui diventa sempre più preponderante l’attenzione a certi aspetti, quali l’esperienza, il positivo contributo dato da chi si sente doverosamente coinvolto, una specie di fidelizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
Su questo solco è opportuno continuare, coinvolgendo in primis le Istituzioni toscane, le parti sociali, le forze politiche, il Governo.
Se sono utili i convegni sulla materia è altrettanto vero che sarebbe opportuno avanzare proposte concrete in merito, come rivisitare il sistema della formazione professionale, la quale ha una molteplicità di fonti di finanziamento, anche privato, ma anche spesso non realmente funzionale.
Il capitolo della scuola, della sua distanza, salvo eccezioni dalle esigenze del tessuto produttivo, la differenza enorme di velocità tra quanto richiesto e quanto offerto.
Ma la vera sfida è nell’operare nella concretizzazione di servizi collaterali funzionali ad aumentare il tasso di occupazione indipendentemente dai soggetti coinvolti.
Di evidenza inconfutabile, come anche risulta da autorevoli studi, che una spesa pubblica più alta per le famiglie, in particolare per la prima infanzia e la diffusione in maniera capillare di forme di conciliazione famiglia-lavoro come il part-time, rappresentano una combinazione efficace per permettere di aumentare il tasso di occupazione femminile. L’elevato costo di cura dei figli, in Italia rende poco conveniente per le donne continuare a lavorare, con ovvii riflessi anche su l’aspetto psicologico. Da notare che una più alta percentuale di donne in part-time, comporta un maggior numero di donne con titolo di studio superiore e laureate.
Inoltre pensiamo a quanti asili aziendali, rionali, sono stati costituiti, se esiste una politica anche territoriale per la programmazione in funzione delle necessità, se e quanto viene fatto per il loro sostegno e di chi ne usufruisce.
Potremmo anche parlare della necessità di politiche di sostegno e di indirizzo per i precari, anche per l’accesso al credito; speso queste difficoltà sono frutto di un dialogo fra sordi.
Sta a tutti noi, con la nostra forza, volontà, determinazione, modificare le cose, partendo dai piccoli interventi, anche garantire la messa in rete di esperienze positive, per poi mutuare tali esperienze nel nostro territorio.
Questo, in sintesi l’occuparsi del futuro nostro e dei figli/e è un dovere civico a cui farebbe bene a non sottrarsi.


Malvisi MassimoLuca Fit Cisl Toscanavia Cittadella 58/r 50144 Firenzecell 3284551353, fax 055334017malvisi-m@libero.it tel 055334011

Caterina Serra "La solitudine"

Mi capita spesso, in queste giornate di sbocciata primavera, di passeggiare per le strade di Firenze e di imbattermi in un gruppo, più o meno ampio, di non più giovani uomini che chiacchierano allegramente e appassionatamente degli argomenti più disparati: calcio, politica, tempo o semplicemente dell'ultima moda indossata dai ragazzi delle nuove generazioni.
Mi capita di vederli ridere stringendo in mano una birra davanti al circolo del loro quartiere o sedere pacati sulla panchina di qualche piazza.Mi capita di sorridere, nel vederli, e di pensare con una certa rassicurazione che l'età non ostacola la socialità, quella pienezza emotiva che solo l'altro può dare.
Ma poi penso con più attenzione.. Io sono una donna, e nelle mie passeggiate per il centro non mi è mai capitato di vedere, su quelle panchine o davanti a quei circoli, nemmeno una donna.Le donne che esprimono se stesse in gruppi di donne non fanno parte nemmeno dell'immaginario collettivo, ora che ci penso!
Storicamente, le donne non sono ammesse in politica e anche oggi, per quanto cambiato sia il modo di “fare politica”, per quanto diversi i diritti delle donne, occupare un posto sociale è, per noi, ancora un obiettivo difficile da realizzare. In questo secolo molti sono gli eventi che hanno portato importanti cambiamenti socio - politici e culturali, specie per le donne italiane, che hanno conquistato diritti e cittadinanza attiva e ottenuto leggi che le tutelano nel lavoro e nella vita, ma molto rimane da fare.
Leggo su un blog: ”Sono una donna divorziata e autonoma di 44 anni con un figlio. La mia paura è la solitudine. Come fare per vincerne la paura?”Paradossalmente, la signora in questione non cerca soluzioni alla solitudine, vuole solo accettarla, trovare il modo di non temerla. Questo accade perchè l'attuale società non prevede, né ha mai previsto, dei piani di intervento mirati alla risoluzione del problema alla base.La solitudine non risparmia nemmeno chi, pur inserito in nuclei familiari, sperimenta l'isolamento affettivo quando la convivenza con i congiunti crea problemi e frustrazioni reciproche.
Nell'individuo, donna o uomo che sia, c'è, infatti, un bisogno continuo e pressante di affetto ed una costante esigenza di comunicazione e condivisione.Appare dunque indispensabile e urgente un vasto piano politico che si proponga di educare la società in generale, oltre che l'individuo e la famiglia, allo scopo di favorire la caduta di tutti quei pregiudizi che hanno relegato la donna nel limbo dell'incomprensione e della solitudine.
A questo punto, forse, sarebbe opportuno dare una dimensione alla gravità del fenomeno cercando di stabilire, con sufficiente approssimazione, il numero di donne che vivono in solitudine, specie nell'età più alta che è anche la più ricca di bisogni. Non è facile, però, disporre di dati statistici attendibili circa la consistenza numerica di tale evenienza e tanto meno è agevole raccogliere informazioni sulle condizioni di vita nella fascia di donne che vivono sole.
Solitudine vuol dire sentirsi soli e questo accade a chi vive isolato e appartato, non per scelta propria, ma per condizione imposta dagli organismi sociali, economici, culturali del proprio complesso antropologico.Ciò avviene sopratutto nelle grandi città, in cui predominano la mancanza di spazi verdi, i ritmi di vita accelerati, il traffico, l'inquinamento e, sopratutto, l'inconsistenza dei rapporti umani che fanno sentire la donna più sola e isolata, per assurdo, proprio quando fa parte di quei grandi formicai che sono le città.
Creare spazi appositi di condivisione per far ritrovare se stesse alle donne smarrite nella solitudine dovrebbe, dunque, essere un obiettivo su cui concentrarsi con più attenzione e sul quale intervenire al più presto con piani che prevedano la marginazione del fenomeno, piuttosto che i lavori estenuanti e spesso infruttuosi di psicoterapie e cure mediche volte a far tollerare la solitudine.
La solitudine non deve essere tollerata, ma combattuta.

venerdì 22 maggio 2009

"patto per la bicicletta"

"Patto per la bicicletta" promosso da Firenzeinbici http://www.firenzeinbici.net/

sabato 16 maggio 2009

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